Autore : Ildefonso
Falcones
Titolo: La regina scalza
Casa editrice: Longanesi
Anno di pubblicazione:
2013
Genere: Letteratura
spagnola – Romanzo storico
Trama: Gennaio 1748,
Siviglia. Una donna cammina per strada. E' Caridad, un'ex schiava
proveniente dalla colonia spagnola di Cuba. Ora non ha più un
padrone che decida per lei, nè una casa. Nel suo girovagare incontra
un gitano, Melchior, e stringe una forte amicizia con la nipote di
lui, la giovane Milagros.
Quando un editto del re
bandisce i gitani come fuori legge, le strade delle due donne si
dividono finchè il destino non le farà incontrare di nuovo.
La Regina Scalza è il
terzo romanzo di Ildefonso Falcones. Dopo " La cattedrale del
mare" e " La mano di Fatima" lo scrittore spagnolo
torna con un altro romanzo storico.
Stavolta a fare da sfondo
al racconto le vicessitudini del popolo gitano nella seconda metà
del 18° secolo.
Rispetto alla vicenda
storica emergono come protagoniste le donne.
Donne dal carattere forte
e dalla personalità spiccata : non solo Caridad e Milagros ma anche
Ana Vega, la vecchia Maria e tutte le altre che lottano per la loro
libertà e dignità.
L'autore stesso in
un'intervista ha affermato che il coraggio delle donne è il modo
migliore che conosce per raccontare la storia.
Gli altri temi che
emergono sono l'ingiustizia e l'impotenza che deriva dalla stessa,
l'amicizia, l'amore ,la cattiveria. E' una storia di solidarietà tra
donne che appartengono a minoranze etniche, donne che traggono la
forza dai legami interpersonali ( sia d'amicizia che derivanti da
vincoli di sangue) e lottano contro le ingiustizie senza gettare la
spugna.
La prima domanda che mi
sono posta leggendo questo libro è perchè i gitani?
In realtà l'autore non
voleva occuparsi di loro bensì del periodo della schiavitù a Cuba
nelle piantagioni di zucchero e, per evitare di trasferirsi a Cuba durante la stesura del libro,
ha portato una schiava di colore in Spagna.
La trama del romanzo è un
pò articolata e, punto a sfavore secondo me, la narrazione procede
in maniera troppo lenta. Soprattutto nella prima metà del libro sono
descritti troppi particolari della vita dei gitani che non annoiano
ma neppure fanno venir voglia di divorare le pagine.
Inoltre, nonostante il
carattere dei personaggi emerga in maniera forte,non si riesce ad
immedesimarsi in loro, in quel che provano. L'unico sentimento che ho
provato è il sollievo per non aver vissuto in quell'epoca e la
voglia di essere un deus ex machina che interviene per riportare
giustizia.
Per fortuna il linguaggio
è scorrevole e questo permette di superare i momenti in cui il
ritmo della narrazione è troppo lento .
Di contro il finale è
troppo concitato. Se l'autore avesse ridotto il libro, eliminando un
centinaio di pagine di descrizioni, l'avrei trovato più piacevole.
La parte a mio avviso più
interessante è il racconto delle origini del flamenco. E' l'unione
tra i canti degli schiavi e le musiche dei gitani.
Gli schiavi cantavano per
sopportare il dolore e la fatica, accompagnati da strumenti a
percussione.
Erano canti dolorosi i
loro, usati per comunicare con gli dei e tenere occupata la mente, al
fine di resistere e sopportare le angherie subite.
I gitani erano invece atei
e accompagnavano i loro canti con la chitarra.
Dall'unione di queste due
culture nasce il flamenco, una musica che và cantata " finchè
non si sente il sapore del sangue in bocca".
Per concludere un libro
che si legge senza fretta, con una scrittura scorrevole e
comprensibile, ma con un ritmo che diventa incalzante solo alla fine.
Il mio voto: 3 su 5.
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